23 Maggio 2025
 
Venerdì V Settimana di Pasqua
 
At 15,22-31; Salmo Responsoriale dal Salmo 56 (57); Gv 15,12-17
 
Colletta
Donaci, o Signore, di conformare la nostra vita
al mistero pasquale che celebriamo nella gioia,
perché con la sua forza perenne
ci protegga e ci salvi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo
 
… vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto … - Catechismo della Chiesa Cattolica 737: La missione di Cristo e dello Spirito Santo si compie nella Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo. Questa missione congiunta associa ormai i seguaci di Cristo alla sua comunione con il Padre nello Spirito Santo: lo Spirito prepara gli uomini, li previene con la sua grazia per attirarli a Cristo. Manifesta loro il Signore risorto, ricorda loro la sua parola, apre il loro spirito all’intelligenza della sua morte e risurrezione. Rende loro presente il mistero di Cristo, soprattutto nell’Eucaristia, al fine di riconciliarli e di metterli in comunione con Dio perché portino « molto frutto ».
… tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda - Catechismo della Chiesa Cattolica 434: La risurrezione di Gesù glorifica il nome di Dio « Salvatore» perché ormai è il nome di Gesù che manifesta in pienezza la suprema potenza del « Nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9-10).
Gli spiriti malvagi temono il suo nome ed è nel suo nome che i discepoli di Gesù compiono miracoli; infatti tutto ciò che essi chiedono al Padre nel suo nome, il Padre lo concede.
 
I Lettura - La Bibbia di Navarra (Nuovo Testamento [2]): Il testo comprende due parti, una dogmatica e morale (v. 28) e un’altra disciplinare (v. 29). La parte dogmatica afferma di non imporre altri oneri che quelli indispensabili e dichiara pertanto che i pagani convertiti sono sciolti dall’obbligo della circoncisione e dell’osservanza della Legge mosaica, ma soggetti alla perenne morale evangelica in questioni inerenti alla castità. E questa la parte immutabile e perenne del decreto conciliare, cioè il precetto che conserverà sempre la sua validità perché riflette un aspetto essenziale della volontà salvifica di Dio.
La parte disciplinare del decreto stabilisce prudenzialmente norme di carattere transitorio e, di conseguenza, temporanee. Si chiede ai cristiani provenienti dal paganesimo che, per carità verso i cristiani di origine ebraica, si astengano dalle carni sacrificate agli idoli, dal sangue e dagli animali soffocati.
La promulgazione del decreto significa che le norme disciplinari in esso contenute, benché derivate dalla Legge mosaica, non obbligano più in forza di questa Legge, ma in virtù dell’autorità della Chiesa che le fa sue per qualche tempo. È decisiva non la parola di Mosè, ma quella di Gesù tramite la Chiesa. Il concilio «pare che conservi la Legge», scrive san Giovanni Crisostomo, «perché trae da essa varie prescrizioni, ma in realtà la sopprime, perché non le accetta integralmente. Aveva parlato frequentemente di queste prescrizioni, ma cercava di rispettare la Legge e di stabilire, tuttavia, queste norme come venute non da Mosè, ma dagli apostoli» (Om. sugli Atti, 33).
 
Vangelo
Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
 
L’amore che Gesù chiede ai suoi deve essere espansivo, totale, senza riserve: esso deve consumarsi fino al dono di se stessi: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16).
Voi siete miei amici... perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi: nell’Antico Testamento Mose, Giosuè e Davide sono chiamati servi di Dio (Cf. Dt 34,5; Gs 24,29; Sal 89,21); solo Abramo è definito amico di Dio e a motivo di questa amicizia il Signore gli svela i suoi intimi pensieri (Cf. Gen 18,17; 2Cr 20,7; Is 41,8).
Era uso nel mondo giudaico scegliersi un maestro, Gesù sottolinea invece che la chiamata, esplicitamente gratuita, è venuta dalla sua volontà. Nessuno può arrogarsi il diritto di essere suo discepolo se Egli non lo chiama al suo seguito. Ed è Lui che li ha costituiti perché vadano e portino frutto. Dal contesto il mandato non sembra intendersi in una prospettiva missionaria ma, più genericamente riferirsi alla vita cristiana come impegno di portar frutto. Il frutto rimane perché i discepoli sono innestati alla vera vite: la fecondità ai tralci viene data dalla vite. Precipua preoccupazione dei discepoli è quindi quella di rimanere in Cristo.
Oltre la gioia, la comunione con la Vite vera arreca ai discepoli un altro dono: tutto quello che chiederete al Padre nel mio Nome egli ve lo concederà.
La preghiera sarà sempre accolta perché l’orante cercherà unicamente il Regno del Padre: infatti, «è sempre esaudito chi chiede per sé cose necessarie alla salvezza con pietà e perseveranza» (San Tommaso d’Aquino)
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15,12-17 

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
 
Parola del Signore.
 
Amore e amicizia di Gesù - Basilio Caballero: (La Parola per Ogni Giorno): Il vangelo di oggi esprime due idee fondamentali: l’amicizia di Gesù per i suoi discepoli e, come conseguenza, l’amore fraterno. Il testo inizia e termina con lo stesso precetto, il comandamento del Signore sull’amore fraterno: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati ... Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri». Gesù dice che è il « suo» comandamento; in un altro brano di congedo lo qualifica come «nuovo» e attribuisce all’amore fraterno perfino la qualità di segno esteriore di identificazione per i suoi discepoli (Gv 13,31s).
Secondo il desiderio e il comandamento di Cristo, i credenti devono amarsi reciprocamente. Perché? Perché sono stati prima amati da lui: amatevi come io v ho amati. Che prove ci sono di questo amore? Molte e specialmente la più grande di tutte: morire per gli amici. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». L’amore che si sacrifica é quello più autentico. «Vi ho chiamati amici», dice Gesù a quelli che fino a questo momento erano per lui, maestro e Signore, dei discepoli. Sorprendente!
L’amicizia si definisce solitamente in termini di uguaglianza e non di superiorità e inferiorità. Lo dicevano già i classici: l’amicizia presuppone che gli amici siano uguali, o è lei stessa che li rende uguali. Ma chiaramente non ci può essere uguaglianza tra Gesù e i suoi discepoli, tra Dio e noi. Tuttavia Cristo stabilisce un’amicizia con i suoi. Come? Facendo valere nuove ragioni che rendono possibile un’amicizia e un’intimità in cui è lui ad avere l’iniziativa. Vediamo che cosa dice.
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete mici amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perche tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Da ciò che precede si desume che tre sono, tra le altre, le ragioni per l’amicizia di Gesù con i suoi: perche egli dà la vita per loro; perché ha rivelato loro tutti i suoi segreti; perché, semplicemente, li ha scelti come amici. La conclusione logica è che il Padre concederà agli amici di Gesù tutto ciò che gli chiederanno nel nome del Figlio.
 
L’amore come scelta e come dono - Giovanni Cereti: L’amore attinge il suo vertice quando l’uomo, per dono dall’alto. giunge a orientare tutta la propria vita a Dio. Sotto l’azione della grazia, l’uomo che vive nell’amore compie una scelta fondamentale per Dio, e l’approfondisce continuamente. In questo senso l’amore, l’unico amore a Dio e al prossimo, costituisce anche l’anima, la “forma” di tutte le virtù morali, che senza di esso perderebbero ogni valore (1Cor 13,1-3). Esso non costituisce una dimensione a parte nella nostra vita; non esiste una separazione fra un mondo sacro, il mondo del culto e del rapporto con Dio, c un mondo profano, che sarebbe quello dell’esistenza quotidiana. Dio è amato in ogni forma di amore autentico, e in ogni istante e circostanza della nostra vita.
L’amore costituisce così la grande forza di umanizzazione del mondo, la grande energia volta a creare quella pienezza di comunione fra Dio e gli uomini c degli uomini fra loro c con il cosmo, alla quale tende il progetto di Dio per la creazione c per l’umanità. Tutta l’opera di educazione deve essere considerata un’educazione  all’amore. L’uomo non nasce infatti già capace di amare. La capacità di amare, sul piano naturale, è il frutto di un processo di graduale maturazione. E nel cammino verso l’amore non si può mai dire di essere giunti al termine. Tutta l’esistenza terrena può essere letta come un grande apprendistato dell’amore, non solo per i singoli, ma per l’intera umanità. La pienezza dell’amore si raggiunge solo alla conclusione del cammino. L’amore è infatti l’unica realtà della nostra esperienza terrena che secondo la fede cristiana ci accompagnerà, trasfigurata, nel mondo nuovo (1Cor 13,11).
 
… vi ho chiamati amici - Compostella (Messale per la Vita Cristiana): Nell’antichità, l’amicizia era stimata al di sopra di ogni cosa. Era considerata qualcosa di raro, di cui poteva godere solo l’uomo virtuoso ed educato, in quanto era vista come il più spirituale di ogni tipo di amore.
A differenza dell’amore erotico, in cui gli amanti si amano ponendosi l’uno di fronte all’altro, gli amici si tengono l’uno di fianco all’altro, mirando alla stessa meta o avendo un interesse comune: il vero, il bene, il bello (C. S. Lewis). Ciò che unisce i veri amici è la verità espressa in una vita virtuosa.
Cristo ha chiamato «amici» i suoi discepoli a lui più vicini solo alla fine della sua vi ta, dopo aver fatto loro conoscere tutto ciò che aveva sentito dal Padre, dopo aver rivelato la verità a coloro che egli aveva scelto. Per provare che non esiste amore più grande del suo, egli ha offerto la propria vita per i suoi amici. Di conseguenza, ciò che era raro nell’antichità, è comune nella Chiesa, in cui uomini e donne conoscono e vivono la verità.
Tale verità distrugge ogni barriera sociale, culturale o razziale; unisce i cuori e gli spiriti che cercano di conoscere e di vivere quella verità, che è la nostra fede.
Così la Chiesa è cattolica, come lo è la vera amicizia, ed è per questo che uomini e donne provenienti dagli ambienti più diversi possono amarsi davvero, come ci ha amati Cristo.
Ciò è evidente soprattutto nella vita religiosa.
 
Gregorio Magno (Hom. in ev., XXVII): Questo è il mio comandamento ... : tutta la Scrittura è ispirata ai Comandamenti divini. Ma quello dell’amore viene presentato dal Signore come “suo” in modo particolare. Questo significa che tutti i comandamenti si riducono a quello dell’Amore, che li abbraccia tutti quanti. Infatti qualunque cosa ci viene da Lui ordinata si fonda sull’amore. Come in un albero tutti i rami provengono dalla radice, così le virtù sono tutte alimentate dall’amore. E qualunque opera buona è priva di vigore se non parte dall’amore.
Quindi i Comandamenti di Dio, pur essendo molti, si riducono ad uno solo. Sono molti perché varie sono le opere, ma la radice è uguale per tutti, quindi si riducono ad uno solo.
 
Il Santo del Giorno - 23 Maggio 2025 - San Giovanni Battista de’ Rossi. Oltre i limiti della malattia una luce per gli ultimi: Spesso ciò che al mondo appare imperfetto e limitato è in realtà portatore di un messaggio di speranza e di luce per l’umanità. Ma solo usando gli occhi del Vangelo è possibile cogliere questa profezia dell’imperfezione. È questo il messaggio contenuto nella vicenda umana e spirituale di san Giovanni Battista de’ Rossi. Nella sua condizione di sofferenza dovuta dalla epilessia, infatti, questo sacerdote vissuto nel XVIII secolo è salito agli onori degli altari, testimoniando come l’amore e la cura degli ultimi superino qualsiasi limitazione e ferita. Nato a Voltaggio (Genova) nel 1698 in un famiglia nobile ormai decaduta, a 13 anni si spostò a Roma per studio, andando a vivere da uno zio sacerdote, canonico a Santa Maria in Cosmedin e frequentando il liceo dai Gesuiti del Collegio Romano. In quel periodo si manifestarono i primi sintomi della malattia, che non gli impedì di diventare prete nel 1721. Dedicò il suo ministero alla cura degli studenti, dei poveri, dei malati e degli emarginati, dando vita alla Pia Unione dei sacerdoti secolari di Santa Galla. Fondò anche un ospizio per le donne, dedicato a san Luigi Gonzaga, di cui de’ Rossi era particolarmente devoto. Divenne canonico anche lui, ma fu dispensato dall’obbligo del coro per poter continuare a stare in mezzo agli ultimi. Morì il 23 maggio 1764. 
 
O Padre, che nutri alla tua mensa
coloro che confidano nel tuo amore,
guidaci nella via dei tuoi comandamenti
fino alla Pasqua eterna del tuo regno.
Per Cristo nostro Signore.