22 Maggio 2025
 
Giovedì V Settimana di Pasqua
 
At 15,7-21; Salmo responsoriale dal Salmo 985 (96); Gv 15,9-11
 
Colletta
O Dio, che per tua grazia
da peccatori ci fai giusti e da infelici ci rendi beati,
compi in noi le tue opere e sostienici con i tuoi doni,
perché a noi, giustificati per la fede,
non manchi la forza della perseveranza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La carità - Catechismo della Chiesa Cattolica 1822 La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.
1823 Gesù fa della carità il comandamento nuovo. Amando i suoi «sino alla fine» (Gv 13,1), egli manifesta l’amore che riceve dal Padre.
Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l’amore di Gesù, che essi ricevono a loro volta. Per questo Gesù dice: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio arnore » (Gv 15,9). E ancora: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12).
1824 La carità, frutto dello Spirito e pienezza della Legge, osserva i comandamenti di Dio e del suo Cristo: «Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio arnore » (Gv 15.9-10).
1825 Cristo è morto per amore verso di noi, quando eravamo ancora « nemici» (Rm 5,10). II Signore ci chiede di amare come lui, perfino i nostri nemici, di farci prossimo del più lontano, di amare i bambini e i poveri come lui stesso.
 
I Lettura: Ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio: è la certificazione che ormai la salvezza è per tutti i popoli: lo Spirito Santo, concesso anche ai pagani, supera e cancella gli angusti spazi del popolo d’Israele. Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. Giacomo così detta le norme entro le quali i credenti dovranno muoversi in piena libertà e in perfetta sintonia con Cristo Gesù, il Fondatore della Chiesa. Le note peculiari contenute nella lettera pastorale - astenersi dal sangue - sono da addebitare alla sensibilità semitica che vedeva nel sangue il principio della vita e la vita apparteneva a Dio (Lev 17,14). Ma l’astensione potrebbe essere stata anche dettata «da una pratica precedente, di indicibile crudeltà. Poiché la carne non si conservava, gli appartenenti ad alcune tribù mutilavano un animale, che poi mantenevano in vita fino a quando non avevano bisogno di altra carne. Lo scolare via il sangue impediva tali usi. La proibizione potrebbe anche aver costituito una legge sanitaria per impedire la diffusione di infezioni trasmesse attraverso il sangue» (Ralph Gower).
 
Vangelo
Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena.
 
La pericope evangelica odierna è tratta dai «discorsi dell’addio»: Gesù, prima della morte, rivela ai discepoli i misteri più grandi della vita divina. Il brano svolge il tema della carità fraterna, dell’osservanza dei comandamenti, della gioia che ne deriva nell’osservarli.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv15,9-11
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
 
Parola del Signore.
 
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi - Con queste parole, prima di consegnarsi nelle mani dei persecutori per la salvezza del mondo, Gesù svela ai suoi amici l’intensità del suo amore.
Per gustare questo amore i discepoli sono invitati a rimanere in lui: soltanto se saranno in Cristo e il Cristo abiterà per la fede nei loro cuori, e così radicati e fondati nella carità, saranno in grado di conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza (Cf. Ef 3,17-19).
Il frutto più bello di questa profonda comunione di amore è la gioia: la gioia «è un segno messianico-escatologico della salvezza presente, ed è conseguenza della pace. La reciproca immanenza porta nel discepolo la stessa gioia di Gesù, la sicurezza della salvezza, la liberazione da ogni schiavitù e da ogni ansia: una sicurezza posta totalmente nella esperienza cosciente dell’amore di Dio in Cristo. Così l’uomo diventa libero di amare [Cf. Gv 8,32] da schiavo che era di se stesso e della sua angoscia. Anche la gioia arriva alla perfezione come dono interiore partecipata da Cristo, che la trasforma in sua, pur rimanendo nostra» (Adalberto Sisti).
Nella Sacra Scrittura la gioia può sgorgare dalla benedizione di Dio che rende fecondo il lavoro dell’uomo (Dt 12,7), dal ritrovamento di cose perdute (Cf. Lc 15,4ss.), dal culto (Cf. Sal 43,4), dalla Legge (Cf. Sal 119,109), ma, alla fine, la vera gioia proviene da Dio (Cfr. Sal 65,9; Lc 1,47). Con l’incarnazione del Verbo la gioia fa irruzione nel mondo. Giovanni Battista esulta di gioia nel seno di Elisabetta (Cf. Lc 1,44), Maria canta i suoi sentimenti di lode, di gratitudine in un inno gioioso, che celebra Dio salvatore degli umili (Cf. Lc 1,46-49), ai pastori viene annunciata «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). La gioia straripa nei cuori degli uomini perché «l’attesa della redenzione è ormai imminente nel Cristo [Lc 2,36-38]. Giovanni Battista già sente la voce dello sposo, che lo riempie di gioia [Gv 3,28-29]. Gesù stesso si manifesta come lo sposo presente, che non permette ai suoi amici di digiunare, poiché è tempo di festa [Lc 5,34-35]. Ormai, in Gesù, il Regno di Dio è in mezzo agli uomini: esso è il tesoro per il quale si è disposti a dare tutto gioiosamente [Mt 13,44]» (Giuseppe Manzoni).
Per rimanere nell’amore di Cristo occorre osservare i suoi comandamenti, ma questo rimanere in lui non deve essere staticità, perché l’amore che Gesù chiede ai suoi discepoli deve essere espansivo, totale, senza riserve: esso deve consumarsi fino al dono di se stessi: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16).
 
Dio è amore e chi è nato da Dio ama - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Col termine «amore» la nostra lingua può indicare atteggiamenti svariati, sia interiori che esteriori dell’uomo. C’è l’amore erotico, dionisiaco, edonistico (l’«eros» dei greci), che riempie fino all’inflazione letteratura, mass-media, conversazioni ecc. È spesso sinonimo di istinto sessuale e suo soddisfacimento. È per così dire un ingrediente di consumo della natura umana a vari livelli.
C’è l’amore che è semplice amicizia che i greci lo chiamavano talvolta « filla», sentimento sereno di affezione e di stima, che però a volte potrebbe anche deteriorarsi fino a degenerare in morbosità e passionalità.
C’è l’amore superiore, sempre nobile, libero da egoismo, da cupidigia, da gelosia e da altri vizi. È quello che i greci spesso chiamavano «agape». C’è infine l’Amore increato, quello che sostanzia l’essere divino.
Dio ha definito se stesso come 1’«Essere» per natura (Es 3, 14; cfr. Gv 8, 24. 27. 58), ma anche come «Luce» (1Gv 1, 5). Però, attraverso I’apostolo san Giovanni, ci ha dato forse la definizione che più gli si addice, quella dell’amore.
In lui c’è l’amore supremo. Infatti non c’è amore più grande che quello di chi dà la vita per gli amici .... Orbene Dio ha mandato alla morte per noi il suo Unigenito, che è la sua vita, e questi ha accettato d’immolarsi per l’amore del Padre.
L’iniziativa dell’amore è Sua, di Dio … Dio però è anche modello di amore per noi. È lui che, per mezzo di questa forza portentosa, riproduce fra noi il suo mondo di pace e di gioia. «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
In un cuore o in un ambiente dove non c’è amore c’è solo tristezza, perché non c’è Dio. Se c’è Dio, c’è l’amore, e se c’è l’amore, c’è Dio. Sembra un gioco di parole. Invece è una legge ferrea e un severo ammonimento per tutti noi. Noi possiamo illuderci, alle volte, di non avere allentato i nostri vincoli con Dio anche se ci siamo raffreddati nell’amore dei fratelli. Siamo nell’errore. Se poi in luogo dell’amore c’è l’egoismo, noi non possiamo più neanche considerarci figli di Dio, perché san Giovanni dice che è nato da Dio solo chi ama. Se non amiamo, diventiamo figli di Satana. Per questo quando se ne va l’amore di Dio e degli uomini s’instaura il regno dell’odio, della menzogna, della guerra, delle rovine, dell’angoscia e della disperazione, che è il regno di Satana.
 
La gioia della nuova vita - André Ridouard e Marc- François Lacan (Gioia in Dizionario di Teologia Biblica): La parola di Gesù ha prodotto il suo frutto: coloro che credono in lui hanno in sé la pienezza della sua gioia (Gv 17,13); la loro comunità vive in una letizia semplice (Atti 2,46) e la predicazione della buona novella è dovunque fonte di grande gioia (8,8); il battesimo riempie i fedeli di una gioia che viene dallo Spirito (13,52; cfr. 8,39; 13,48; 16,34) e che fa cantare gli apostoli nelle prove peggiori (16, 23 ss).
1. Le fonti della gioia spirituale. - Di fatto la gioia è un frutto dello Spirito (Gal 5,22) ed una nota caratteristica del regno di Dio (Rom 14,17). Non si tratta dell’entusiasmo passeggero che la parola suscita e la tribolazione distrugge (cfr. Mc 4,16), ma della gioia spirituale dei fedeli che, nella prova, sono di esempio (1Tess 1,6s) e
che, con la loro generosità gioiosa (2Cor 8,2; 9,7), con la loro perfezione (2Cor 13,9), con la loro unione (Fil 2,2), con la loro docilità (Ebr 13,17) e la loro fedeltà alla verità (2Gv 4; 3Gv 3s), sono presentemente e saranno nel giorno del Signore la gioia dei loro apostoli (1Tess 2,19s).
La carità che rende i fedeli partecipi della verità (1Cor 13,6) procura loro una gioia costante che è alimentata dalla preghiera e dal ringraziamento incessanti ( 1Tess 5,16; Fil 3,1; 4,4 ss). Come rendere grazie al Padre di essere trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, senza essere nella gioia (Col 1,11ss.)? E la preghiera assidua è fonte di gioia perché la anima la speranza perché il Dio della speranza vi risponde colmando di gioia il fedele (Rom 12,12; 15,13). Pietro lo invita quindi a benedire Dio con esultanza; la sua fede, che l’afflizione mette alla prova, ma che è sicura di ottenere la salvezza, gli procura una gioia ineffabile che è la pregustazione della gloria (1Piet 1,3-9).
2. La testimonianza della gioia nella prova. - Ma questa gioia non appartiene che alla fede provata. Per essere nella letizia al momento della rivelazione della gloria di Cristo, bisogoa che il suo discepolo si rallegri nella misura in cui partecipa alle sue sofferenze (1Piet 4,13). Come il suo maestro, egli preferisce in terra la croce alla gioia (Ebr 12,2); accetta con gioia di essere spogliato dei suoi beni (Ebr 10,34), considerando come gioia suprema l’essere messo alla prova in tutti i modi (Giac 1,2). Per gli apostoli, come per Cristo, la povertà e la persecuzione portano alla gioia perfetta.
Nel suo ministero apostolico, Paolo gusta questa gioia della croce, che è un elemento della sua testimonianza: «afflitti», i ministri di Dio sono «sempre lieti» (2Cor 6,lO). L’apostolo sovrabbonda di gioia nelle sue tribolazioni (2Cor 7,4); con un disinteresse totale egli si rallegra purché Cristo sia annunciato (Fil 1,17 s) e trova la sua gioia nel soffrire per i suoi fedeli e per la Chiesa (Col l,24). Invita persino i Filippesi a condividere la gioia che egli avrebbe nel versare il proprio sangue come suprema testimonianza di fede (Fil 2,17s),
Partecipazione alla gioia eterna - Ma la prova avrà fine e Dio vendicherà il sangue dei suoi servi giudicando Babilonia che se n’è ubriacata; ci sarà allora letizia in cielo (Apoc 18,20; 19,1-4) dove si celebreranno le nozze dell’agnello; coloro che vi prenderanno parte, renderanno gloria a Dio nella letizia (19,7ss). Sarà la manifestazione della gioia perfetta che è sin d’ora il retaggio dei figli di Dio; perché lo Spirito, che è stato dato loro, fa sì che essi abbiano comunione con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo (1Gv 1,2ss; 3,1s.24).
 
Ruperto di Deutz (In Jo. ev., Xl): Come il Padre ha amato Me, così anch’io ho amato voi: quasi a dire: come per molto amore il Padre mi ha inviato e mi ha piantato in questo mondo come vera Vite, così Io per lo stesso amore mando e diffondo nel mondo voi, miei tralci, affinché produciate frutto abbondante. È in virtù di quest’amore che il Padre ha dato al Figlio il compito di venire alle sofferenze della Passione, ed avendo Egli obbedito sino alla morte, e alla morte di croce, lo ha esaltato e gli ha donato quel Nome che è sopra ogni nome, affinché in nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei Cieli, in Terra e negli Inferi. È quest’amore che il Figlio ha incaricato i suoi discepoli di predicare in tutto il mondo ad ogni creatura ... Rimanete nel mio Amore quindi, cioè perseverate, amandovi l’un l’altro e avendo un solo spirito e una sola fede, la quale opera per mezzo dell’amore.
 
Il Santo del Giorno - 22 Maggio 2025 -Sant’Attone (Atto) di Pistoia Vescovo: Rimangono controversi la data e il luogo di nascita, la famiglia e le vicende della sua fanciullezza. Nacque tra il 1070 e il 1080. Autori recenti lo ritengono di origine toscana, e precisamente della Val di Pesa o Pescia, o di Passignano. Dopo il XVI secolo prevalse la tesi, sostenuta dal Flórez, che Attone fosse nativo di Badajoz, città dell’Estremadura. È certo che intorno al 1100 egli si trovava nell’abbazia di Vallombrosa, succedendo nella dignità di abate generale ad Almario verso il 1120, in un’epoca di prosperità dell’abbazia. Nominato vescovo di Pistoia con bolla di Innocenzo II in data 21 dicembre 1134, Attone continuò ad osservare le regole dell’Ordine, del quale curava gli interessi con la sua presenza nei capitoli e ricoprendo il ruolo di visitatore nei monasteri. Morì nel 1153. (Avvenire)
 
 
Signore, il pegno dell’eterna salvezza,
che abbiamo ricevuto nei sacramenti pasquali,
ci sostenga nel cammino della vita presente
e ci guidi alla gloria futura.
Per Cristo nostro Signore.